Spesso nel nostro incontrare manager e dirigenti di aziende ci imbattiamo in una costante richiesta di comprensione dei motivi per cui “le cose non funzionano o non funzionano come vorremmo”.

Cosa non funziona nelle organizzazioni?

Nei colloqui iniziali con le figure apicali di una azienda viene riportato un problema che sembra possa essere circoscritto attorno a individui specifici dell’organizzazione o a suoi gruppi ristretti.

Come dei “medici” quindi siamo costretti ad un processo diagnostico dell’organizzazione, passo dopo passo insieme ai manager, che hanno il coraggio di chiedere un aiuto esterno, poiché dall’interno è quasi impossibile ottenere quella giusta distanza per mettere a fuoco il funzionamento del sistema e le sue disfunzioni.

In questa fase iniziale di analisi della domanda, come clinici delle organizzazioni, cerchiamo di passare dal sintomo iniziale alla reale problematicità che a cascata getta malessere e vari livelli di disfunzioni sull’organizzazione stessa.

Nei racconti dei dirigenti subito ci è possibile differenziare i due livelli dell’azienda, quello istituzionale fatto delle norme e dei valori su cui si è fondata la stessa e su cui spesso vi è un alone di nostalgia legata all’età d’oro e quello invece organizzativo fatto dei ruoli e funzioni che dovrebbero permettere, in modo ordinato, i vari processi produttivi.    

È in questa dialettica tra organizzazione/istituzione che sembra avvenire un cortocircuito che getta insoddisfazione rispetto al proprio operato, un malessere che deve essere letto in maniera seria perché coinvolge buona parte del tempo dei vari soggetti che si adoperano lavorativamente.

Cosa non funziona nelle organizzazioni: un esempio concreto

Prendiamo per esempio un recente caso descritto da una nostra corsista, che descrive una realtà e una dinamica abbastanza tipica del tessuto imprenditoriale del territorio.

Giovanna lavoro in una piccola impresa di software, di circa una ventina/trentina di lavoratori, tra commerciali, amministrativi e tecnici.

L’azienda è descritta come una realtà solida, ormai attiva da più di una decade e in questa descrizione traspare un certo che di nostalgia per i primi anni, Giovanna è presente fin dall’inizio, traspare l’entusiasmo nel ricordare i primi anni di lavoro. Ora invece che è che cresciuta il capo, leader e proprietario non è quasi mai presente, lascia che i processi produttivi procedano senza una guida vera e propria e in sua assenza non c’è un delegato della sua leadership.

Quello che ora Giovanna descrive sembra un ritratto di un pomeriggio familiare in cui, i figli in assenza del genitore marinano i compiti e gli obblighi scolastici, nella stessa maniera Giovanna descrive come in assenza del “capo” molti dei dipendenti si lascino al lassismo creando non pochi disagi a chi come Giovanna oltre all’etica del dovere prova affetto e dedizione per l’azienda in cui è cresciuta come lavoratrice.

Ma il disagio provato da lei e da altri è elevato, si pensa a cambiare lavoro anche perché il capo non riesce a vedere cosa in realtà sta succedendo e come questa mancanza nella sua funzione di coordinamento, controllo e monitoraggio dei processi produttivi, se ancora non si è ripercossa sul fatturato, si sta ripercuotendo sullo stato d’animo e l’affiatamento della sua squadra.

L’istituzione fondata con spirito di iniziativa e coraggio ha ceduto il passo alla solo organizzazione, che tutto sommato procede senza però l’entusiasmo di poter dare e fare ancora di più, con il rischio di perdere pezzi importanti dal punto di vista del valore umano.

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