Negli ultimi anni si è registrata un’ampia diffusione del Design Thinking come termine particolarmente di moda nell’ambito del business ma nonostante questo approccio venga percepito come un movimento innovativo, in realtà è un modello discusso da almeno mezzo secolo. Infatti, a partire dal secondo dopoguerra grazie all’impulso dato dallo studio e l’applicazione di nuovi metodi scientifici e con la nascita del “Soft-System Approach”, un approccio problem-solving basato sull’uso di software, negli anni ‘60 anche il Design sentì l’esigenza di trovare basi scientifiche per questa materia sfruttando il forte impulso dell’innovazione tecnologica che ha contraddistinto quel periodo. Più in particolare, il Design si distingue per operare su quelli che vengono chiamati “wicked problem” , termine che indica un problema difficile o impossibile da risolvere per il suo carattere incompleto, ambiguo e per il rapido cambiamento dei suoi requisiti di difficile riconoscibilità. In questo contesto l’applicazione di un metodo scientifico risulterebbe limitato o riduttivo per risolvere “problemi ambigui”, aperti e in evoluzione.
In questo senso, nel corso degli anni, è emersa l’importanza e la necessità di applicare al Design un approccio più creativo poichè ogni wicked problem è unico e unico deve essere anche il processo di sviluppo della sua “soluzione”. Questi concetti hanno avuto una grandissima influenza nello sviluppo dell’attuale modello di Design Thinking che fa riferimento ad una vasta gamma di approcci comprendenti la progettazione partecipata, l’approccio user-led, il co-design, l’etnografia e il design empatico.
Il modello venne poi codificato attorno agli anni 2000 in California dalla Stanford University assumendo l’accezione di “Human Centered Design” poichè agli inizi degli anni ’90 cominciò ad evolversi spostando il suo focus da un’orientazione tecnologica ad una centrata sui bisogni umani.
A cosa serve il Design Thinking
Una delle principali cause di fallimento di un idea di business deriva da un’errata valutazione dei reali bisogni della clientela.
Infatti per poter affrontare i cambiamenti del contesto è necessario un approccio all’innovazione che riesca ad integrare aziende e società per sviluppare soluzioni “breakthrough”.
In questo senso il tradizionale approccio alla progettazione e al marketing di prodotti e servizi si è sempre basato su di un’analisi quali-quantitativa delle informazioni disponibili in relazione ai bisogni latenti di un determinato segmento di utenza. Questo approccio è sicuramente utile in contesti stabili, analizzabili e misurabili ma attualmente sappiamo che il contesto in cui si trovano ad operare le organizzazioni pubbliche e private è caratterizzato da una pluralità di bisogni in continuo mutamento, dati anche da un’evoluzione del ruolo dell’utente, passando da un atteggiamento di consumo più passivo ad uno più competente e informato e che guarda soprattutto alla qualità dell’offerta.
In questo contesto il Design Thinking è un approccio progettuale in grado di integrare i bisogni delle persone e darne un nuovo senso all’interno dei processi di innovazione che devono tener conto della fattibilità tecnologica e funzionale nel lungo periodo per rispondere al successo economico delle imprese e diventare parte di un modello di business sostenibile.
In questo senso il campo di applicazione del Design Thinking per la risoluzione di problemi complessi, non si limita alla progettazione dei prodotti ma può riguardare anche i processi, i servizi, le interazioni, forme di collaborazione, di comunicazione e di strategie. Tutto però è guidato da una visione human-centered in cui il mercato viene messo al centro e dove i bisogni latenti, motore di tutte le idee innovative, vengono trasformati in domanda di mercato. Per un’azienda che ha compreso il valore dell’innovazione e la considera una leva competitiva, è indispensabile usare il design thinking e i suoi strumenti per guidare la crescita, migliorare la qualità delle attività, delle decisioni e dei risultati.
Come funziona il processo del Design Thinking
Nel corso della sua evoluzione sono stati categorizzati numerosi modelli del processo di Design Thinking allo scopo di facilitare la pianificazione delle attività del progetto e il loro scheduling. La maggiorparte di questi modelli descrivono il processo come un “sistema di sovrapposizioni di spazi” caratterizzati da un elevato livello di iterazione grazie al quale è possibile operare su nuovi paradigmi di progettazione che acquistano una progressiva affermazione all’interno del percorso di sviluppo del progetto. Più in generale il processo di Design Thinking si può descrivere attraverso tre spazi che non seguono una logica lineare:
- Il primo è l’ispirazione o la scoperta e rappresenta la fase in cui emerge il problema o l’occasione che motiva la ricerca di una soluzione. In questo spazio il team di progetto va a definire i vincoli in cui muoversi, il contesto e gli obiettivi da raggiungere. Questo è anche lo spazio in cui il gruppo di lavoro concretizza l’approccio human-centered attraverso lo svolgimento di attività di osservazione del contesto di intervento e il modo in cui le persone si comportano e interagiscono tra di loro e con l’ambiente circostante. Questo spazio, caratterizzato da una presa di consapevolezza del problema identificato, è uno degli spazi più importanti in cui è possibile farsi domande e allo stesso tempo ottenere già delle risposte.
- Il secondo spazio è quello dell’ideazione in cui si esegue una sintesi di ciò che è emerso durante la precedente fase. In questo spazio si cerca di promuovere la creatività attraverso l’applicazione del divergent thinking, sistema cardine del processo che permette di facilitare l’emersione di una molteplicità di soluzioni per giungere a delle scelte, questo perchè testando più idee in competizione tra loro vi è una maggiore probabilità che il risultato sia più creativo e convincente.
- Il terzo spazio è quello della prototipazione, qui le idee concepite si concretizzano in un piano di azione e nell’elaborazione del prototipo dell’idea definita.
Per sviluppare il prototipo non sono necessarie ingenti spese poichè è possibile avvalersi di materiali e oggetti presenti nell’ambiente di lavoro (es. carta, cartone, ricreare una dinamica o situazione ecc..), infatti questa attività deve essere intesa come l’arte di “pensare con le mani” poiché permette di tradurre l’idea in qualcosa di concreto in modo da poterne valutare velocemente i possibili punti di forza e debolezza che saranno poi oggetto di una fase iterativa di progettazione del prodotto o del servizio ideato.
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